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lunedì 13 febbraio 2017

Like a lonely soul, before the end


Connor lo ha accompagnato fino alla soglia di casa, ma quando chiude la porta alla proprie spalle è di nuovo solo. Osserva la casa vuota e silenziosa, come se una cappa di gelo fosse penetrata attraverso ogni più piccolo spiffero delle pareti. Eppure non dovrebbe essere così.

Risale al piano di sopra, accompagnato dallo scricchiolio di ogni singolo gradino della scala in legno.
La porta che un tempo ospitava la loro camera, adesso è riempita dai vagiti di una bimba di pochi giorni. 
La quale, per colpa sua, rischia di non conoscere mai più il suo altro padre. La calma, la coccola e gli sussura che andrà tutto bene. Ma forse cerca solo di convincersi che sarà così.
La vocina di un bimbo biondo di tre anni si fa sentire dalla cameretta di fianco e quando vi entra, lo trova già con l'espressione implorante sul viso e le braccina tese verso l'alto. Ha fatto un brutto sogno.

Non ci pensa due volte e lo prende in braccio, tenendoselo stretto al petto, e lo porta fino al piano di sopra. Lo infila sotto le coperte del grande letto matrimoniale che condivideva con Max e vi si stende affianco. Gli accarezza i capelli biondi con la mano sinistra, mentre la destra va ad accendere il monitor e l'audio per il controllo della bambina al piano di sotto.
Assicura anche a lui che andrà tutto bene, che il papà tornerà presto dal lavoro e che starà un sacco con con loro. Glielo ripete finchè non sente il figlio riaddormentarsi pacifico, ma lui non sembra trovare riposo.

E' sbagliato e infame, pensa, rimanere da solo con due bimbi piccoli alla vigilia dell'Apocalisse. Perchè per quanto cerchi di negarlo, rischia di morire... rischiano di morire tutti. E lui lo farà senza avere suo marito affianco perchè è nelle mani sudice di altri.

Si chiede se forse non dovrebbe pagare i 10.000 dollari richiesti di riscatto e fregarsene delle possibili conseguenze etiche. 
Aumenteranno i rapimenti? Sarebbe finanziare il crimine? E' sbagliato assoldare i Night Soldier per fare il lavoro sporco?

Sì e allora?

Forse non merita di avere l'uomo che ama affianco a sé, nel possibile ultimo giorno della loro vita? Della vita anche dei loro figli. Non deve loro la possibilità di farsi stringere, prima della fine?

E per un attimo allunga davvero la mano verso il telefono per dire che ci sta, che li pagherà basta che gli ridiano max. Le conseguenze possono andare a farsi fottere.
Poi la mano si abbassa e viene portata a coprire le lacrime che gli scorrono sul viso. Sa che max non glielo perdonerebbe e sa che neanche lui riuscirebbe a conviverci.

S'infila completamente sotto le coperte e stringe il bimbo contro il proprio petto. Le lacrime man mano sparisco e si addormenta. Il tutto mentre la pastiglia comincia a fare il suo effetto, riportando il controllo nei suoi pensieri e nelle emozioni.

giovedì 6 ottobre 2016

Behind blue eyes

Soundtrack: click


Il click nella serratura è un rumore che rimbomba nel silenzio dell'appartamento, illuminato solo dalle luci notturne della città. Nella semi-oscurità una figura maschile, non troppo alta ma ben piazzata, s'intrufola dalla porta cercando di fare meno rumore possibile. Questo prima di spalancare gli occhi chiari e alzare le mani vicino alle spalle, l'espressione scioccata sul viso.
Woah woah! Abbassa quella cosa, sono io!
Benjamin Blake è ancora un uomo possente nonostante l'età della pensione si stia avvicinando velocemente. Spalle larghe, petto muscoloso da soldato, lineamenti duri... e una pistola puntata dritta contro l'invasore del suo territorio. Riabbassa l'arma dopo qualche istante e solo dopo aver riconosciuto il viso del figlio maggiore.
Michael... non ti aspettavo. Vivi in New Jersey ora.
Lo so. E' stata una sorpresa. Una cosa decisa un po' sul momento, sai? 
Il tono di Mike è scherzoso e strafottente, come è sempre stato d'altronde, ma Blake senjor sa bene che suo figlio non è tipo da improvvisate. Non nel cuore della notte, non a lui, cercando di entrare casa come farebbe un comune topo d'appartamento.
Bene. Quindi, per quale motivo sei qui?
Sempre dritto al punto papà, ahn? Devo avere un motivo particolare per venire a trovare mio padre?
Le palpebre rugose di Blake senjor si socchiudono appena, mentre Michael è costretto a sentire lo sguardo ghiacciato del padre, passarlo da parte a parte. Deglutisce in silenzio un paio di volte, prima di chiudere la porta dell'appartamento dietro di sé.
Il silenzio si allunga per alcuni secondi, come se il padre stesse aspettando ciò che ha indirettamente chiesto. Quando ciò però non avviene, scrolla le spalle e appoggia la pistola sul tavolinetto vicino all'entrata, prima di muoversi verso i divanetti.
Siediti pure, se vuoi.
Grazie. Allora in realtà ero qui in zo- 
Evitiamo perdite di tempo inutili. Perché sei qui, Michael? 
Il tono è secco come un colpo di fucile, preciso e sicuro. Lo sguardo del padre ha qualcosa che ha metà tra una minaccia e un ordine, cosa che effettivamente è vera per la maggioranza del modo di rapportarsi dell'uomo.
Va bene, va bene. Mi ha chiamato Brandon. 
Lo sapevo io! Quel figlio di... ! Adesso gli parlo io.
No no papà! Aspetta! Era preoccupato per te e lo sono anche io. Dice che ha dovuto promettere non pochi favori per evitarti una denuncia per aggressione.
E' stato solo un pugno, Michael.  E nessuno gli ha chiesto di farlo.
Hai mandato quel tizio all'ospedale con il naso rotto...
Si vede che era una femminuccia. Perfino quell'incapace di Arthur saprebbe incassare meglio. 
Il silenzio che scende tra i due è qualcosa che sa di tempesta in arrivo, a stento trattenuta da entrambe le parti. Benjamin ha in mano il proprio cellulare, mentre il figlio è schizzato in aria neanche il divano avesse le molle. Il denti bianchi sono digrignati in una posa d'avvertimento.
Lascia fuori mio fratello da questa discussione. Lui non c'entra.
Sì che c'entra. E' tutta colpa sua se siamo in questa situazione. 
No che non lo è! Oh andiamo papà... ti pare che ha scelto lui di avere una fottutissima modificazione genetica? Ma davvero!?
 Blake senjor ha almeno la decenza di abbassare lo sguardo per qualche istante, prima di scrollare le spalle con aria di noncuranza.
No, chiaramente no. Ciò però non cambia quel che è, adesso.
E' tuo figlio! E ti vuole ancora bene!
Lo era. Adesso fa parte di quei mostri che vogliono schiacciare i veri uomini. Lui, insieme a quel deviato con cui s'accompagna e a quella sottospecie di campo d'addestramento in cui vive.
Ma per favore! Siamo nel 2024, papà e la Scuola non è un campo d'add- 
Puoi andartene.
Il giovane Blake rimane con la bocca aperta a metà, pronta per elencare le varie qualità del fratello e della scuola. Le mani si stringono a pugno, mentre le braccia tremano appena.
Cosa? 
Non credo di averti cresciuto sordo: ho detto che puoi andartene. 
Mi stai cacciando di casa? 
Non ti ho mai invitato a venire.
Appena dice quelle parole, già vorrebbe rimangiarsele. La rabbia lo fa esprimere sentenze senza pensarci, l'orgoglio gli rende impossibile chiedere scusa. Perché Benjamin Blake non ha mai chiesto scusa a nessuno nella vita, se non a sua moglie e non riesce ad iniziare a farlo adesso. Anche se lo vorrebbe.
Guarda suo figlio diventare livido dalla rabbia, stringere i pugni così forte da farsi sbiancare le nocche. In una piccola parte, remota dentro di sé, vorrebbe tanto ricevere un pugno perché sa che è quello che si merita. Purtroppo sa anche che ha cresciuto troppo bene i suoi ragazzi, perché lo facciano.
Fottiti tu, la tua ideologia di merda e il tuo cazzo di orgoglio! Ho provato a parlarti da persona civile, ma tu sei un completo stronzo e nulla di più.
Incamera un respiro più pesante quando sente quelle parole, sapendo che il figlio maggiore ha perfettamente ragione. Ciò nonostante non ha intenzione di cedere il punto, mai.
Non serve un esame di coscienza per capire che, probabilmente, stanno tutti meglio lontani da lui.
Lascia che si allontani verso la porta, aprendola di gran foga, prima di vederlo girarsi nuovamente verso di lui.
Sai la cosa più assurda? 
Il tono di voce è più basso e quieto, cosa che fa presagire una questione veramente molto seria. Perché Michael Blake non è quasi mai serio.
La mamma lo sapeva. Lo sapeva da quando Arthur era un bambino. E ha continuato ad amarti lo stesso. Non ho idea di come abbia fatto.
La porta si chiude in un rumore secco, mentre Blake Senjor rimane bloccato sul divano con il cellulare ancora tra le mani. Gli manca il respiro e i pensieri sono fermi, una delle poche volta nella sua vita.
Solo dopo qualche istante rialza lo sguardo verso le varie fotografie sparse per il salotto.
Sull'armadietto c'è quella del matrimonio, con lui in alta uniforme che sorride stretto alla donna che ama.
Sulla mensola dei libri un piccolo Michael ride, ben agganciato al collo del padre come una scimmia.
Vicino alla televisione, invece, Annie tiene in braccio un neo nato Arthur che già sbraccia verso il padre e il fratello in posa poco di lato. 

Infine c'è la cornice appoggiata sul tavolino dell'ingresso, al posto d'onore, che rimanda gli echi delle risate di tutti e quattro all'ultima gita che hanno fatto insieme prima della scomparsa di Annie.

Le osserva tutte, in silenzio sempre più opprimente, prima di lanciare via il telefono contro il muro in urlo di rabbia, frustrazione e solitudine. Il telefonino viene presto seguito anche dal tavolinetto basso e dalla valigetta con i documenti.
Su uno di essi campeggia un bel resoconto della polizia, dove si evince che Mister B. Blake ha picchiato un assistente di volo all'aeroporto, dopo aver sentito una conversazione tra lui e  altro collega:
Sai, mi chiedo che se ne faccia di tutti quei soldi che prende come pilota d'aerei. La moglie è sono anni che è sparita nel nulla ed è data per morta ormai; il figlio maggiore si è trasferito in un altro stato per disperazione.
Ma non ha anche un altro figlio? E' un po' che non ne parla.
Stai scherzando, non lo sai?  Il minore è un mutante e lo stronzo l'ha sbattuto fuori di casa appena l'ha saputo. Ora lo si vede spesso in tv per la storia della scuola dei superumani.
Bella vita di merda, in solitaria proprio.
Già, ma d'altronde è qualcosa che ha voluto lui, se ci pensi. E... diciamocela tutta, se lo è meritato.  


giovedì 21 aprile 2016

(Ab)normal couple

Philadelphia General Hospital
Reparto traumatologia
20.03 - 19/04/2024




E' un si?
Lo sai che sembra più una richiesta di matrimonio, piuttosto che di cambiare casa? :p
Comunque è un sì.
Ok. E non lo era. Ma se lo fosse?
Beh se lo fosse, ti direi che l'unica differenza tra una convivenza come la nostra e un matrimonio, è un semplice contratto all'anagrafe.
Quindi sarebbe un... sì comunque.
Quindi... vuoi sposarmi?
Direi... di sì.
Sì?
Sì.


lunedì 28 marzo 2016

Acceptance

Young Gifted School
Casetta Prof. Blake
11.03 PM - 28/03/2024

(Soundtrack: link)

Si è chiuso nel piccolo bagno da circa dieci minuti buoni, con la scusa di prepararsi per andare a dormire. Le assi di legno sopra la testa cigolano appena, segno che Maximilian si è già arrampicato fino al letto a due piazze che condividono -ufficialmente- da alcuni giorni.
Il giovane telecineta osserva il suo viso riflesso nello specchio rettangolare sopra il lavandino e quasi stenta a riconoscersi lui stesso. Le occhiaie fanno padan con un'espressione così cupa e triste, che probabilmente è battuta solo da quella che aveva al funerale -inufficioso- di sua madre.

-Ti stai comportando come un bambino, Arthur. Sai di avere un problema, e scappi, scappi e continui a scappare, chiudi gli occhi e ti rifiuti di affrontarlo, e cosa ne guadagni? Solo che la rabbia e la frustrazione crescono, fino al momento in cui non riesci più a gestirle, perchè tu fai cagare a gestire le emozioni peggio di me, e infatti sei sotto ansiolitici da una vita.
La voce di Maximilian gli trapana la testa come se gli stesse urlando a cinque centimetri di distanza, ma in realtà è solo l'eco -non troppo lontano- del pomeriggio appena passato. Del pomeriggio che lo ha visto esplodere con una rabbia inusuale nel petto. E ha visto un albero accartocciarsi sotto la sua forza incontrollata.
-Si, ti è successa una cosa di merda, siamo tutti d'accordo. È stato un trauma e hai ragione a essere scosso, per carità...
Le mani si arpionano al bordo di ceramica del lavandino, mentre un mezzo verso gli esce dalle labbra. Le urla straziati di dolore di Maximilian gli rimbombano dentro le orecchie come il ritmo di un tamburo.
La superficie dello specchio ondeggia per un attimo, rivelando successivamente la figura del semidio morso dai bloodog trasciato via con un arpione.
Una forza invisibile incastra il figlio di Ade in una lotta alla fune, che si conclude con una gamba strappata via, mentre una lacrima che scivola via sul volto di un -troppo- giovane professore.

- Sfogati se pensi sia quello di cui hai bisogno. Ma poi basta. Basta così. Tu devi imparare a gestire le tue emozioni, e non anestetizzandoti fino a non sentire niente, ma accettandole. E andando avanti, o non sarai mai pronto per vivere le conseguenze di quello che siamo chiamati a fare.
Ciò che sono chiamati a fare. Rialza di nuovo lo sguardo sullo specchio, mentre vede il suo riflesso rimandargli un ghigno ironico perché lui lo sa: come si può esser chiamati a fare del  male, quasi a uccidere con le tue mani, la persona che ami?
Quale maledetto gioco sadico riesce a farti rimanere lucido mentre fai una cosa del genere, per poi distruggerti pezzo per pezzo nei giorni seguenti?
Perché sia lui che il suo riflesso lo sanno. Quello, è ciò che saranno chiamati  a fare e non sa se potrà sopportarlo ancora, senza sfaldarsi.

-Sto cercando di accettarlo ci sto provando... ma non mi riesce così bene. Non voglio sfogarmi perchè distruggere ciò che ho intorno è esattamente ciò che più temevo Ma accettare, senza strafarmi di tranquillanti, senza sfogarmi, senza esplodere... non so come... farlo.
Questa volta è il suo riflesso a parlare, fissandolo da dietro quel vetro tremolante. Ripete le parole che ha ripetuto a Maximilian in sua difesa, nel pomeriggio appena passato.
Non sa come fare, perché come si può accettare che può succedere una cosa del genere? Che potrebbe riaccadere?

Perché lo sa, un giorno gli potrebbe accadere di dover scegliere tra la vita di chi ama e la vita di una moltitudine di sconosciuti. E sa che farebbe la scelta giusta, ma... come si può passare indenni le conseguenze di una scelta del genere?
Ha imparato a controllarsi, silenziando chimicamente le emozioni per evitare che raggiungano la soglia della disperazione. Ha l'istinto di spaccare qualsiasi cosa gli si pari davanti, solo per dar sfogo a quella rabbia e a quella frustrazione immensa che gli si agita dentro il petto, che chiede solo di esser liberata.
Ciò che non sa, è come accettarle. Questo non l'ha mai affrontato. Ha sempre cercato le scorciatoie più brevi e meno dolorose.
-E allora devi imparare. Con tempo e pazienza, e con l'aiuto di tutte le persone che ti stanno vicino, ma devi imparare. Il problema è nella tua testa, e potrai superarlo solo quando riuscirai ad accettarlo e andare avanti. E il primo passo, è capire questa cosa
Lo so, è dura...Ma se vuoi fare questa cosa, devi diventare più forte. Perchè ricapiterà. E tu non puoi permetterti di andare in pezzi ogni volta.
Diverse lacrime cominciano a rotolargli fuori dagli occhi, prima di concludere la loro corsa dentro il fondo del lavandino. Una goccia, seguita subito da un'altra e un'altra ancora, fino a che il ticchettio non diventa costante. Ne è quasi sorpreso, è un sacco di tempo che non piange così.
Questa volta i singhiozzi non riesce a trattenerli del tutto, anzi, non li trattiene affatto. Sa che Maximilian lo sta sentendo piangere dalle assi del soppalco, ma sa che lo aspetterà pazientemente a letto senza domandargli nulla.

-È il momento di crescere e diventare più forte, Arthur.
Putroppo non ci sono scorciatoie per ciò che è chiamato a diventare, che lui voglia o meno. Delle vite potrebbero dipendere dai suoi poteri e lui non ha nessuna intenzione di fare un passo indietro. 
Non sa ancora come accettare tutta la rabbia, la frustrazione, la paura e la tristezza che dentro di sé. Non senza inibirle o lasciandosi consumare a fuoco lento.
Però, cominciare a lasciarle scivolare via insieme alle lacrime, gli sembra un buon punto di partenza.



martedì 19 gennaio 2016

The truth is never easy


Philadelphia
 Blake apartment
7.54 AM - 19/01/2024


Il rumore della chiave che gira all'interno della toppa della porta di casa sua è incofondibile, specialmente quando sono due ore che il giovane mutante non fa altro che ricercarlo con l'udito.
Durante la notte ha riempito il suo zaino da viaggio con tutto ciò che non avrebbe mai potuto lasciare a casa: una buona dose di vestiti, i libri unversitari e pochi altri oggetti personali. Il medaglione portafoto appartenuto prima a sua madre e poi a suo fratello è stato appeso al collo e nascosto sotto il maglione. Qualsiasi cosa possa succedere, non lo lascerà mai indietro.

"Arthur."

Il tono di suo padre è monocorde, quasi annoiato, non appena lo vede seduto sul divano del salotto. Il telecineta si morde la guancia interna mentre un sospiro più pesante gli si arpiona al petto. Non vede suo padre da tre settimane eppure lui non sembra essere troppo entusiasta di vederlo. O meglio, sembra come se non gliene importasse poi più di tanto. Come se lo avesse visto solo ieri.

"Ciao papà."

L'alzarsi dal divano in un saluto quasi militare è così naturale e istintivo che neanche deve rifletterci per eseguirlo. Suo padre lo squadra da cima a fondo in uno sguardo indagatore e severo, facendolo rabbrividire come se qualcuno gli avesse gettato dell'acqua gelida addosso. 

"Michael non mi aveva avvisato che saresti tornato oggi dalla tua...scampagnata."  La voce dell'uomo raschia sul palato, pregna di una chiara indignazione mal celata. "Comunque, hai diverso carico di studio da recuperare e..."

"Papà, aspetta un attimo.Ti devo parl-"

"Non ti azzardare ad interrompermi, Arthur!" Esclama in uno scatto contrariato l'uomo, prima di scuotere la testa. "Cos'è? In queste poche settimane da tuo fratello ti sei scordato la buona educazione? Allora ti stavo dicendo..."

Non c'è possibilità di scappare dal fiume di parole che suo padre continua a buttare fuori dalla bocca neanche fossero scontrini del supermercato. L'università, il recupero dei crediti, la cameriera sostituita e altre amenità quotidinane.  Il tono duro e l'occhiata gelida gli hanno tolto quasi tutto il coraggio che aveva cercato di accumulare in previsione dell'incontro.

Sente di star perdendo quella lotta ancora prima d'iniziarla e man mano che suo padre parla del più e del meno, lui si sente sprofondare sempre più in basso in un vortice di disperazione.
Aveva ragione Michael: non può dirglielo.
Si convince di non avere abbastanza carattere per affrontare veramente suo padre, di essere troppo debole per sopportare il suo rifiuto. Almeno finché suo padre non comincia a inveire animatamente contro quei:

"...Maledetti mutanti degeneri! Hai visto cosa è successo? Il governo dovrebbe rinchiuderli tutti e farne fuori il più possibile. Non sono altro che un cancro de-"

"BASTA! "SONO UN MUTANTE ANCHE IO!" 

Esplode all'improvviso il giovane telecineta, mentre un paio di lacrime cominciano già a pizzicargli il retro degli occhi. Sa che suo padre non sopporta essere contradetto e lui lo ha appena fatto sull'argomento più importante della sua vita. 
Ne osserva l'espressione basita allargarsi come una macchia d'olio sul viso segnato dall'età e della severità del padre, prima che gli occhi -così simili ai suoi- vengano invasi da un'alone di pura rabbia.

"C-cosa?"

"S-sono un m-mutante papà, è di q-questo che cercavo di p-parlarti." Rivela verso di lui, abbassando il tono di voce. Comincia quindi a parlare tutto d'un fiato perché sa che se si ferma adesso, non avrà più il coraggio di dire niente.

"Non l'ho voluto io, è solo successo. A Natale ho spostato senza toccarlo il portapenne in cameria e un piccola spilla.
Ti giuro che non l'ho fatto apposta e non ti ho detto niente perché volevo prima capire se era vero... Ma lo è purtroppo e quindi mi sono registrato e sono andato a scuola perché voglio controllarmi, creare problemi a nessuno e credo nel nostro Stato e nella nostra legge.
Non cambierà tanto, te lo posso promettere. Adesso posso controllarmi e..."


"Fammi vedere."  

Il tono di voce di suo padre è greve e basso, mentre gli occhi azzurri bollono di rabbia mal repressa e di una delusione cocente. Ciò che è peggio, sembra non aver ascoltato neanche una parole di tutto ciò che gli ha detto poco prima suo figlio. Niente di niente. Ad Benjamin Blake non sono mai piaciute le giustificazioni.

"Papà, ti prego... prima ascoltami. Voglio spiegar-" implora il ragazzo, con una morsa che gli trancia via l'aria dai polmoni.

"TI HO DETTO DI FARMI VEDERE!"

Le mani di suo padre gli si piantano con forza all'altezza del bavero del maglione, strattonandolo fino ad avanzare di un passo intero. Sono a pochi centimetri di distanza e il telecineta può percepire l'odio guizzante sotto i muscoli ancora allenati di suo padre, così come il rifiuto che già gli legge infondo agli occhi.
Singhiozza una volta sola, strozzando il singulto a metà, prima di concentrarsi sul piccolo fermacarte appoggiato sul tavolinetto affianco a loro, il quale volteggia in aria per qualche istante prima di riappoggiarsi sul legno.

Per un paio d'istanti il silenzio opprime ogni singolo respiro dei due Blake, lasciandoli in un momento sospeso nel tempo. Forse entrambi smettono di respirare e perdono un battito. Suo padre alza la mano destra, tremante, verso la sua guancia e per un attimo il telecineta spera in una carezza arrabbiata ma paterna.
Quello che gli arriva, invece, è un man rovescio spinto con tutta la forza e la rabbia di un uomo che ha appena visto suo figlio trasformarsi nella cosa che odia di più al mondo. Ciò che gli ha portato via suo fratello e forse anche sua moglie.
E il ragazzo chiude gli occhi, scegliendo di non reagire contro colui che è sempre - e comunque- suo padre.


CRACK

Il grande specchio della sala dove è andato a sbattere il giovane mutante, si rompe in un suono sordo e stridulo, fracassandosi in mille pezzi proprio come l'anima del ragazzo. 
Alcune schegge di vetro gli colpiscono le mani che aveva portato a protezione, mentre altre gli tagliano parte del viso, lasciando scivolare dei rivoli di sangue lungo il mento e il maglione.
Suo padre non perde tempo e lo costringe a rialzarsi in piedi, prima di spingerlo con rabbia verso la porta.

"Vattene di qui e non ti azzardare a farti rivedere mai più. Non voglio sapere più niente di te! Mai più!"


"Papà, per favore..."

"Hai smesso di essere mio figlio da quando sei diventato uno di Loro! Fuori da casa mia, razza di mostro!"


"Per favore..."

"ADESSO!"

In pochi secondi il telecineta ha recuperato il suo zaino, si è catapultato fuori da casa e ha corso giù per la tromba delle scale, lasciandosi alle spalle solo una scia di piccole macchioline di sangue mischiata a lacrime amare.




venerdì 15 gennaio 2016

Ho smesso di aver paura

Philadelphia
General Hospital
06.04 AM - 13/01/2024


Il Sole non si è ancora infiltrato tra gli oscuranti della stanza, ma lui è già sveglio da una buona mezz'ora. Haze gli ha sequestrato i tranquillanti due giorni prima e, nonostante abbia bevuto perfino una camomilla doppia, non è riuscito a chiudere occhio per più di un'ora consecutiva.
Sa che dovrebbe essere spaventato dal fatto che il suo potere lo abbia spedito in ospedale con un braccio ustionato, eppure il petto vibrante di vita di Helyn gliela dissipa via come vapore. Lui, Marcus e Maya le hanno salvato la vita.
Lui le ha salvato la vita utilizzando il suo potere senza esitare neanche per un istante. Odia usarlo anche solo per sollevare una penna eppure ha scaraventato una pila di sedie contro un supercriminale. E non ne è pentito.

Il cellulare raggiunge la sua mano sinistra e ancora prima che lui se ne renda veramente conto, sta scrivendo un messaggio a suo fratello. 

Scusami se non mi sono fatto sentire in questi giorni, ma ho avuto alcuni... problemi. Sappi che ho intenzione di parlare a papà della mia mutazione quanto prima.
Penso che sia giusto che lo sappia anche lui e lo sappia da me, anche se non gli piacerà.


Il pollice è sospeso sopra il bottone per l'invio, mentre le parole di Matt gli ritornano in mente. Non può nascondersi per sempre. Né da se stesso né da nessun'altro.
Il telefono vibra quasi istantaneamente, rivelando la risposta del maggiore. In breve tempo entrambi i fratelli sono incollati alla chat.


Non fare stupidaggini, Arthur! Non ti perdonerebbe mai.

Devo provarci.

Impara piuttosto a controllare questi tuoi poteri e vieni a vivere qui da me.

Michael, non posso.

Non ti preoccupare per l'università. Mi sono informato e ce ne è una buona a meno un'ora di macchina.

Non è per l'università, lo sai.

Nessuno saprà che sei un mutante e in più è molto più tranquillo di Phildelphia.

Ci siamo nati a Philadelphia. Quando mai è stato un problema?

Prima o poi scoppierà una guerra civile tra i mutanti e persone normali. Qui sarai al sicuro.


Un grumo d'ansia si attorciglia dentro lo stomaco del giovane telecineta, forse riconoscendo una traccia di verità nelle preoccupazioni del fratello. Forse dovrebbe davvero andarsene.
Aveva già ipotizzato questo scenario con Marcus, discutendo di come la Young Gifted School abbia proprio il compito di opporsi alle visioni estreme. Di dimostare come tutto ciò sia sbagliato e di come ci sia un'altra via contro l'odio.
Ripensa a come sia stato proprio lui a convincere la piccola Amy che non c'è niente di cui aver paura, perché bisogna solo insegnare alle persone a non temere ciò che non conoscono. È la paura che conduce dritta all'odio, senza passare da via. Così come è stato sempre lui, la scorsa sera, a raccontare ad Maximilian come sia giusto Registrarsi perché non devono vergognarsi -né temere- nulla.


È vero, potrebbe andarsene e rimanere al sicuro. Dovrebbe vivere una vita normale con suo fratello, senza che nessuno lo possa accusare di nulla.
Non è un combattente e l'ustione lo dimostra. Oggi è solo un braccio, domani potrebbe essere su tutto il corpo o potrebbe essere direttamente morto.
E tutto per cosa? Per aiutare una società che magari un giorno gli si rivolterà contro, decidendo che tutti i mutanti sono troppo sbagliati e pericolosi per rimanere in circolazione? 
Oppure potrebbe tentare di fare la differenza, di essere un buon esempio, partendo proprio da suo padre.
Digita la sua risposta sulla testiera con una lentezza estrema e un senso di liberazione nel petto.

Ho smesso di avere paura, Michael.


  

domenica 3 gennaio 2016

A brother is always by your side

Philadelphia
Young Gifted School
10.07 PM - 1/01/2024


Il giovane mutante si era appena a buttato pesantemente sul letto della sua stanza alla School, quando lo squillo improvviso del cellulare lo costrinse ad aprire gli occhi di scatto.
Conosceva la persona abbinata a quella suoneria personalizzata: suo fratello.
Senza neanche pensarci, il cellulare finì rapidamente tra le sue mani e dritto all'orecchio.

"Ehy fratellino!"  irrupe senza preamboli una voce maschile, bassa e profonda.
"Michael..."
"Bravo, vedo che non ti sei scordato come mi chiamo."  Il ragazzo poteva facilmente immaginarsi il ghigno delle labbra dietro l'altro cellulare "Di chiamarmi, forse sì."
"Sì scusami, è stato un periodo intenso"  rispose con un sospiro l'altro, osservando quei muri sconosciuti intorno a sè. "Molto intenso. Come stai?"
"Mh, immagino. Io bene, grazie. Tu invece, di' un po', ti sei divertito alla festa di ieri sera..." 
"In effet-"
"...A casa mia?"  concluse la voce al telefono, incastrando il giovane mutante con le spalle al muro.
"C-Cosa? Michael ma che stai dicend-"
"Sai Artie..."
"Non chiamarmi Artie."
"...a quanto pare ti sto ospitando da oltre una settimana, senza saperlo. Non lo trovi curioso?" 
Il ragazzo spalancò gli occhi azzurri, mentre la voce del fratello si innalzava a pericolosi livelli di sarcasmo. Deglutì a secco il groppo d'ansia che gli aveva attanagliato la gola.
"Michael, ascolta. Per prima cos-"
"Arthur, niente stronzate. Papà ha chiamato qui quindici minuti fa."  Il tono del maggiore era lineare, ma la nota di delusione era più che percepibile. "Che diavolo stai combinando?"
"G-gli hai detto c-che non sono lì?"
"Mi credi scemo? Ovviamente gli ho detto che sei venuto in New Jersey per un ritiro studio-spirituale o quel che fate voi studenti universitari quando dovete concentrarvi." 
Un pesante sospiro di sollievo esplose tra le labbra del mutante, arrivando a scavare il petto del maggiore. 
"Ti ringrazio Michael"
"Seh. Ora però mi dici che diavolo ti sta succedendo e dove sei, altrimenti lo richiamo subito." 
ribattè con forza e durezza la voce dall'altra parte della linea telefonica.


Gli occhi verdi del minore corsero intorno per la piccola stanza offertagli dalla scuola, fino a posarsi sul Registration Badge ben visibile sulla scrivania. Per un istante valutò l'ipotesi di rivelargli tutto subito. Di essersi scoperto un mutante pochi giorni prima, dell'enorme paura di affrontare il padre e del rifugio sicuro della School.
Per un istante ipotizzò che suo fratello fosse pronto a conoscere la verità. Ad accettare chi era veramente.
"Io..."
Ma prima di suo fratello: lo era lui? 
"No."
"... Scusa? Come sarebbe: no?"
"Non ancora, Michael"  ribadì il minore, scuotendo la testa, nonostante il fratello non potesse vederlo. "Ti prometto che ti spiegherò tutto, ma ho bisogno ancora di po' di tempo."
"Invece ne parliamo adesso!"  esclamò con rabbia la voce all'autoparlante, prima di scivolare in sfumature più preoccupate. "Che succede? Sei finito in qualche guaio per sbaglio?" 
"No no, assolutamente no! Sto bene."
"Arthur, non mentirmi"
"Davvero, Michael. Sto bene. Devo risolvere una faccenda, da solo."
"Fratellino, lo sai che odio queste cose, ma... puoi raccontarmi tutto. Sai che non ti giudicherò. C'entra nostro padre?"
"In parte"  rispose il mutante, abbassando lo sguardo verso la punta dei piedi. "Ma principalmente riguarda me."
"Spiegami allora, stronzo che non sei altro! Sto cominciando a preoccuparmi, perché non mi sembra che tu stia bene. Per niente. Forse dovrei richiamare papà..."
"No! Ho solo bisogno di qualche altro giorno in santa pace."  Esclamò con forza e un pizzico di terrore nella voce, prima d'implorare il fratello. "Per favore".

Lo stesso silenzio pregno di tensione si espanse in due stanze diverse, lontane centinaia di kilometri. Arthur pregava che il fratello capisse che non poteva affrontare loro padre, non adesso. Michael immaginava in quanti possibili guai poteva essersi cacciato il suo fratellino e se poteva rischiare di rispettare la sua richiesta, almeno per un altro po'.
"D'accordo, d'accordo"  accosentì cupamente il maggiore, soffiando forzatamente aria dalle narici. "Lo sai che tra due settimane inizieranno i tuoi esami e questa scusa non reggerà più, vero?"
"Sì, lo so. Lo so."
" Ascolta..."  si sentì l'umettare delle labbra, come se l'altro stesse cercando di controllare le sue reazioni. "Se non vuoi dirmi adesso che ti sta succede: va bene, mi fido del tuo giudizio. Per ora."
"Grazie Michael."
"Cioò nonostante pretendo e te lo ripeto - pretendo - che ti faccia sentire tutti i giorni. Voglio esser sicuro che tu stia bene, chiaro?"
"Sì, mi sembra giusto."  Acconsentì il più piccolo, mentre un lieve sorriso grato gli si allargava sul viso. Il primo da giorni interi. "Cosa dirai a papà?"
"Oooh, beh di quello non ti preoccupare, Artie."  Rispose Michael dall'altro lato, con un tono così divertito che fece tremare le spalle del fratellino, lasciandogli immaginare il ghigno sornione dell'altro. "Sei sempre stato una cazzo di ragazzetta con la salute debole."
"Non è vero! E non mi chiamare Artie"
"Oh sì che lo sei, piccoletto."  Lo prese in giro il maggiore, prima di tornare ad assumere un tono più serio "Non fare cazzate e fatti sentire, altrimenti giuro che scovo dove ti sei rintanato e ti rispedisco a casa a calci in culo. Sono stato chiaro?"
"Sì, ragazzone, sì. Ci sentiamo, Michael."

"Lo spero bene per te."
"Stammi bene anche tu...e grazie" 

Un mugugnio scocciato e incomprensibile mise fine alla chiamata, lasciando il mutante a rigirarsi il cellulare tra le mani. L'espressione sul viso era ancora pensierosa, ma una piccola nota di contezza gli si era piazzata tra le corde dell'anima.
Non era ancora il momento giusto per accettare se stessi, né per dirlo agli altri sperando che lo facciano al posto suo. Non ancora.

Aveva guadagnato altre due settimane di riflessione per decidere decidere cosa fare di se stesso. Se accettarsi mutante oppure nascondere per tutta la vita chi è veramente.
Incosciamente però sapeva di avere, in un modo o nell'altro, un fratello al proprio fianco.

Arthur & Michael Blake